Attualità e Cronaca Rosa

Violenza sessuale sulle donne: la storia di Speranza

19-04-2011

Violenza sessuale sulle donne: la storia di Speranza

Le statistiche parlano chiaro, una donna su cinque è vittima ogni giorno di violenza sessuale. Ormai non si contano più i fatti di cronaca che vedono sempre più donne e ragazzine stuprate o uccise da mostri senza anima. Donne che non hanno il coraggio di raccontare, che non hanno il coraggio di chiedere aiuto e che purtroppo lasciano al loro carnefice la libertà di poterlo rifare, senza che nessuno possa fermarlo. Ed ecco la storia di una donna che ha parlato, una donna che ha chiesto aiuto e che grazie proprio a questo, è riuscita a venirne fuori, ricominciando a sorridere. Tutto comincia con un messaggio privato su facebook .

 

“Ciao Kikka, ho letto i tuoi articoli sul Magazine di Roba da Donne, mi piace il tuo modo di scrivere e di approcciarti con chi ti legge. Vorrei raccontarti la mia storia. Io sono una sopravvissuta. Una che è riuscita a “tornare alla vita” dopo aver subito una violenza sessuale.”

Ho risposto al messaggio con un nodo alla gola, non sono nuova a queste storie purtroppo,  c’è stata una persona a me molto cara che ha lottato nello stesso modo e che per fortuna adesso sorride di nuovo, ma fa sempre male sapere di una donna violata nel profondo. Ho preso appuntamento con Speranza (nome inventato per ovvie ragioni) per questa mattina, abbiamo deciso di sentirci al telefono, mi chiamerà lei da un numero anonimo e parlerà con me. Il telefono squilla alle 10.00 in punto (orario concordato) e io rispondo con un po’ di ansia nella voce, spero di non sbagliare, di non essere indiscreta, di non ferirla.

Da questo momento è lei la protagonista.

Kikka: Ciao Speranza, ho deciso di chiamarti così, ti piace?”
Speranza:Si, mi piace. È davvero un nome appropriato direi

La sento sorridere, ha una voce fresca e serena.

Kikka: “Dimmi cosa preferisci? Vuoi che ti faccia delle domande o è meglio che ti lasci parlare liberamente? Speranza sorride di nuovo, sento il suo respiro, è regolare e per niente agitato, comincia a raccontarmi la sua storia:

“Tutto è successo quando avevo 18 anni, mi ero diplomata da pochi mesi e stavo cominciando ad affacciarmi nel “mondo degli adulti”. Ero impaziente di trovare un lavoro, diventare autonoma economicamente e di andare a vivere da sola. Così decisi di rispondere a qualche annuncio di lavoro, nessuno mi prese in considerazione, nessuno tranne LUI.

Mi chiamò una mattina per un lavoro di segretaria, sembrava adatto a me, e così presi un appuntamento per quel pomeriggio stesso.

Quando arrivai in ufficio dove avevamo l’appuntamento, notai che non c’era quasi nessuno, solo un’anziana signora che stava uscendo dalla porta dell’appartamento dove sarei entrata io. Ma la cosa non mi preoccupò minimamente, il pensiero che mi potesse succedere qualcosa non mi sfiorò un attimo. Mi venne incontro un uomo sulla quarantina, alto, ben vestito, e con un sorriso che mi sembrò molto cordiale. Mi fece accomodare alla scrivania e mi spiegò in cosa consisteva il lavoro, poi mi chiese quanti anni avessi e dopo essersi accertato della mia maggiore età, (almeno credo), cominciò a farmi delle avances molto esplicite. Io mi alzai di scatto,  e lo fece anche lui, gli dissi che non mi interessavano quel genere di cose e mi avviai verso la porta, ma non mi diede il tempo di aprirla. Mi gettò per terra e abusò di me più e più volte.”

La voce di Speranza adesso è cambiata, non è triste o rotta dal pianto, come qualcuno potrebbe immaginare, è solo fredda, senza emozioni, sembra un automa mentre racconta il momento più brutto della sua vita. Le chiedo se per caso vuole fermarsi, mi dice che non c’è problema, che è tutto a posto e mi chiede se per me invece la cosa risulta troppo “forte” . La rassicuro.  Continua a parlare:

”Non so quanto tempo sia passato, so solo che a me è parsa un’eternità. Ad un certo punto ho immaginato di non essere in quel posto, di essere lontana, a casa mia, nella mia stanza, a guardare un film, un brutto film.

Quando “LUI” ha finito ha aperto la porta ed è andato via. Sono rimasta in quella stanza per un paio d’ore credo, poi ho chiamato quello che allora era il mio ragazzo ed è venuto a prendermi. Quando gli ho detto cosa fosse successo mi ha abbracciata, mi ha riaccompagnato a casa e poi non l’ho più ne visto, ne sentito.”

La domanda mi esce dalla bocca come un fiume in piena: “ Lo hai denunciato vero?” e purtroppo la risposta è quella che mi aspettavo:

 

“No Kikka, non l’ho denunciato. Pensa che ci ho messo quattro mesi per raccontarlo a mia madre. E quando finalmente sono riuscita a parlarle, lei mi ha aiutata. Ho passato quasi 3 anni della mia vita a parlare con una psicologa. Una donna meravigliosa che ha saputo “far uscire da me” tutta la rabbia che avevo dentro. È riuscita a farmi parlare,a farmi piangere, gridare, e poi è riuscita a far si che io tornassi a sorridere.”

 

 

Speranza si ferma, non parla più, forse aspetta che io le chieda qualcosa: “Come mai hai voluto raccontare a me e a chi ti leggerà, questa storia?”, lei sospira, tace ancora qualche minuto e poi mi risponde:

“Sentivo il bisogno di dire a chi come me ha subito una tortura del genere, che farsi aiutare è d’obbligo. Sentivo il bisogno di raccontare a tutte le donne che ancora oggi subiscono in silenzio, che è possibile uscirne e tornare ad amare, a sorridere, a partorire un figlio maschio e non odiarlo solo per il suo sesso. A me è capitato sai?”

”Di odiare gli uomini?” – le chiedo-

“Si, di odiarli con tutta me stessa, ho addirittura pensato ad un certo punto, di essere gay. Volevo stare solo con le mie amiche e persino mio padre, o i miei fratelli, mi facevano ribrezzo, solo per il fatto di essere uomini. Ma poi ho capito. So che sono frasi fatte e magari non faranno scalpore sul tuo articolo ma…(sorride mentre lo dice, poi si ferma, forse sta cercando le parole giuste) ..non tutti gli uomini sono cattivi e “malati” come la persona che ci ha fatto del male.”

Sento che sospira di nuovo, è dura non poterla guardare negli occhi, non poterle stringere la mano, ma ho la netta sensazione che ora Speranza sia davvero in pace con se stessa. Per tutto il tempo in cui mi ha raccontato la sua storia, io ho percepito una sorta di tranquillità e per alcuni attimi, mi è quasi sembrato che mi stesse raccontando di un’altra persona, una persona che non era lei. Restiamo un po’ in silenzio, sento un bambino piangere: È tuo figlio?” le chiedo.

“Si, il mio piccolo uomo.. (sorride ancora) “

 

Decido di salutarla, il suo “piccolo uomo” ha bisogno di lei e non sarò certo io quella che la distrarrà. La ringrazio per il messaggio che ha voluto dare a tutte noi, poi comincio a scrivere e mi viene da pensare che  fuori è pieno di donne che, a differenza di Speranza, non hanno il coraggio o la forza di chiedere aiuto. Penso a quelle donne  e a tutte le ragazze che nonostante la  l’età della spensieratezza hanno invece il buio dentro e nessuno che le aiuti a guarire. Spero vivamente che le parole di Speranza possano aiutare chi si trova a vivere nel silenzio, credo che questa donna ormai trentenne, abbia fatto una grande cosa oggi, che abbia dimostrato a tutte noi, che si può e si deve chiedere aiuto.

 

Urlate, urlate più che potete il vostro dolore. Non tenetevi dentro questo mostro, non lasciate che vi divori l’anima. Urlate e chiedete aiuto. Sono certa che troverete tanta gente a tendervi la mano.

Nunzia Caso (Kikka)

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