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Politica di oggi e di ieri a confronto. Anni ’70 – La tribuna elettorale.

04-07-2011

Politica di oggi e di ieri a confronto. Anni ’70 – La tribuna elettorale.

Il caldo e la pigrizia dell’estate regalano a volte piccole, grandi, sorprese che diventano spunti di riflessione e confronti, come è capitato a chi scrive: facendo zapping tra i noiosi programmi di un sabato di luglio, infatti, ci si è imbattutti in un frammento di un altro mondo; il canale televisivo della Camera dei deputati stava trasmettendo una Tribuna elettorale di trentacinque anni fa; guardando quella trasmissione si viene proiettati in un mondo che appare davvero lontano, molto più di quanto non sia cronologicamente.

 

Per i più giovani si ricorda che le Tribune politiche, e quelle elettorali, erano state inventate vari anni prima dallo stesso giornalista che conduceva quella di cui si parla qui: Jader Jacobelli. Si trattava di un tipico “mezzobusto” – come si diceva allora – con una voce chioccia che certo non farebbe la gioia dei nostri critici TV tanto attenti ai dettagli (spesso inutili) – che conduceva con sobrietà e rigore e tramite regole precise e valide per tutti.

 

La Tribuna elettorale incontrata era quella conclusiva prima del voto politico del 20 e 21 giugno 1976, quello che avrebbe dato di fatto la vittoria alla DC ed al PCI, accelerando il processo di incontro tra i due grandi partiti avversari, che sarebbe culminato nel 1978 nel voto favorevole del PCI al Governo, per la prima volta dal 1947. Dopo aver dato spazio a tutti i partiti, l’ultima Tribuna elettorale ospitava il Presidente del Consiglio, che nel 1976 si chiamava Aldo Moro, uno che era tanto tanto lontano dai politici di oggi come la Terra dalla stella Vega o giù di lì. Descriviamo un momento questo signore distinto, ed un po’ stinto, assolutamente privo di interesse per il look: chiuso in un completo scuro (si suppone blu o nero, ma non si può sapere dato che non c’era il colore nella TV di allora), un po’ troppo largo per lui; in una posa un po’ sbilenca e certo non “telegenica”; accaldato dai fari dello studio ma sempre impeccabile; preciso nell’eloquio, che all’epoca era considerato “noioso” per il suo lento procedere in dettagli che ai superficiali apparivano inutili, ma che erano la sostanza del discorso politico serio; misurato nella discussione, ma capace anche di sferzanti repliche quando provocato nel suo fermo antifascismo; “non mi interessano i vostri voti! Sono inutili e io non li voglio” risponde Moro al giornalista del Movimento Sociale che lo attacca per la sua politica “comunista!”.

 

Questo era Aldo Moro, Presidente del Consiglio alla vigilia delle più importanti elezioni tenutesi sino ad allora. Un uomo serio e rigoroso, schivo ed attento non al “miglior profilo” ma alla migliore esposizione possibile delle sue idee, in una trasmissione regolata da Jacobelli al secondo: Moro aveva cinque minuti esatti, non uno in più, per illustrare ciò che aveva fatto il Governo e per spiegare il perché si fosse giunti per la seconda volta nella storia ad elezioni anticipate. Cinque minuti senza nessuna interruzione, nessun urlo, nessuna “vaiassata” (per dirla alla napoletana), nessun atteggiamento istrionico. Solo la precisa esposizione della posizione politica del Governo e della DC. Un’utopia oggi! Dopo questa fase Jacobelli dava la parola ad un giornalista che rappresentava un partito politico, o un movimento di opinione. Questi poneva un quesito al Presidente del Consiglio, il quale rispondeva, senza essere interrotto (o quasi.

 

Ma se qualcuno ci provava interveniva con severità Jacobelli) per due-tre minuti al massimo (anche qui Jacobelli non scherzava. Con garbo batteva la penna sul tavolo e Moro finiva di parlare immediatamente). Poi il giornalista replicava e poneva un secondo quesito al Presidente del Consiglio. Quesiti spesso duri, non certo soft come quelli che si vedono oggi nelle rare trasmissioni che hanno l’onore di avere il Presidente del Consiglio. Si trattava di domande attinenti ai temi più scottanti alle quali, con pacatezza inimmaginabile nei nostri salotti urlanti, Moro rispondeva con precisione. Un andamento lento, dialogico, impensabile nel nostro mondo che va di corsa, spesso senza sapere dove!

 

I primi segnali di un cambiamento si avvertivano già allora nello stile aggressivo del rappresentante di Democrazia Proletaria (partito che si collocava a sinistra del PCI) o del Partito Radicale – che, tra l’altro, mostrava una copertina di un settimanale che ritraeva Moro in carcere. Sapendo quello che sarebbe successo nemmeno due anni dopo, chi scrive ha provato un brivido doloroso -; ma allora vi era ancora la possibilità di ascoltare il singolo leader politico spiegare le sue posizioni, rispondere alle obiezioni, poste in italiano perfetto da giornalisti che, comunque la si pensasse, avevano proprietà di linguaggio, senza doversi districare tra urla, insulti, frasi sconnesse o conduttori che dopo aver fatto la domanda passano ad altro, interrompendo l’esposizione della risposta dopo venticinque secondi! Un altro secolo. Un mondo non certo sereno quello degli anni Settanta, al contrario. Ma un mondo dove la televisione di Stato poteva ancora permettersi un’ora di analisi politica seria, in modo da fornire ai cittadini elementi per decidere come comportarsi. Un mondo dove i giornalisti facevano domande “toste” ai politici, i quali non si sottraevano ma rispondevano a tono, puntigliosamente, in un linguaggio che forse era “politichese” ma che certo era, e resta, molto migliore di quello da trivio che ci capita di ascoltare oggi.

Federico Smidile

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