Attualità e Cronaca Rosa

Burqa – Divieto, alla Camera primo “sì”. Ma il percorso è ancora lungo.

03-08-2011

Burqa – Divieto, alla Camera primo “sì”. Ma il percorso è ancora lungo.

Ieri alla Camera la Commissione Affari Costituzionali ha votato un primo sì in merito l’introduzione del divieto di indossare Burqa od altri abiti che impediscano il riconoscimento. Ma è solo un primo passo dell’ancora lunga e tortuosa strada che conduce all’emanazione definitiva di una legge al riguardo.

 

FRONTI OPPOSTI. Nella giornata del 2 agosto 2011 si sono diffuse notizie e polemiche per la presunta approvazione da parte della Camera dei Deputati del divieto di indossare Burqa od altri abiti tradizionali che impediscano l’identificazione di una persona. Come spesso capita in Italia si sono schierati su fronti opposti coloro che ritengono giusta questa norma e coloro che la contestano. I primi affermano in sostanza che questo divieto non è affatto ostile verso l’Islam ma anzi favorisce l’integrazione, stabilendo principi da cui non si può derogare; inoltre, aggiungono i sostenitori del divieto, si garantisce che le donne non vengano costrette con la forza ad indossare un abbigliamento che non vogliono; infine, si rafforza il divieto, già presente in Italia, di nascondere il proprio volto, rendendo quindi impossibile un’identificazione. Dall’altra parte si afferma che questa norma è chiaramente discriminatoria verso coloro che professano la fede islamica, che le norme già presenti garantiscono bene l’ordine pubblico e che l’indicazione precisa di determinati abiti non è ammissibile in quanto configgerebbe con l’articolo 3 della Costituzione, che vuole tutti i cittadini (quindi anche stranieri regolari o italiani di fede islamica) uguali senza distinzioni di razza, sesso, fede, ecc.

 

SEDE REFERENTE. Si tratta di due posizioni rispettabili, ma che si vanno dividendo sul nulla o quasi. Infatti, siamo solo al primo atto, e nemmeno concluso, di un processo legislativo lungo e complesso. Cerchiamo di spiegarci: il testo di legge di cui si parla è frutto di un lungo lavoro, iniziato alla Camera dei Deputati addirittura nel 2009 e che ha avuto il suo avvio formale il 27 gennaio del 2010, quando la Iª Commissione (Affari Costituzionali) della Camera ha iniziato ad esaminare “in sede referente”, alcune proposte di legge sul tema. Nel corso dei mesi se ne sono aggiunte molte altre, in un lungo lavoro di analisi e scrematura. Cosa significa “sede referente”? Significa che la Commissione si comporta come colui che aiuta lo chef nella preparazione di un piatto. Lo Chef è l’Assemblea della Camera (o del Senato), ossia tutti i parlamentari; le Commissioni, quando lavorano in “sede referente”, sanno più o meno che piatto debba essere preparato, e quindi si incaricano di procurare gli ingredienti giusti, di togliere quegli sbagliati, di mettere d’accordo le idee sulla giusta quantità di sale, pepe, o altro che sia necessario per rendere quantomeno mangiabile il piatto. In questo caso vi erano moltissimi ingredienti, presentati da vari cuochi, di diversa cultura, estrazione, credo politico. La Commissione si è messa all’opera per presentare una proposta all’Assemblea, che potrà poi decidere se preparare il piatto come lo ha immaginato la Commissione, se modificarlo, oppure se buttare via tutti gli ingredienti e ricominciare da capo.

 

POLEMICHE SUL TESTO. Il 2 agosto 2011, si è quasi arrivati alla fine del processo in “sede referente”. A metà luglio del 2011, infatti, la Commissione aveva unificato tutti i testi presentati in uno solo, di tre articoli. Il primo articolo (al comma 1), introduceva il divieto di indossare Burqa o abiti simili, aggiungendo questo divieto agli altri divieti già previsti dalla cosiddetta “legge di pubblica sicurezza” del 1975 (che proibisce di fatto che il volto di una persona sia nascosto e non identificabile); importante notare che l’articolo 1 in questione ha altri due commi che rispettivamente limitano il primo comma (nel senso che se per ragioni mediche, o in gare sportive, o feste tradizionali questo divieto non vale) e fissano le pene (multe o lavori di utilità sociale volti all’integrazione) per chi viola la legge; Vi è poi un articolo 2, condiviso da tutti i parlamentari, che infligge severe pene a chiunque, sia con la forza che con la coercizione mentale, obblighi chiunque a nascondere il volto (qui non si parla di Burqa o altro). Infine, ed è la cosa che più suscita polemiche, l’articolo 3 nega la possibilità di chiedere la cittadinanza a chi si macchi del reato previsto all’articolo 2. Il problema sta che si istituisce una diversità tra chi commette questo reato essendo già cittadino italiano e chi lo commette non essendolo. Si tratta, appunto, di un rischio che potrebbe ripercuotersi sia in una condanna della Corte Costituzionale, perché un immigrato regolare ancora non italiano ma del tutto in regola con le norme italiane viene di fatto discriminato rispetto ad un altro immigrato regolare che ha avuto la cittadinanza, sia della stessa Corte di Giustizia europea che potrebbe non ritenere fondata questa differenza.

 

PERCORSO LUNGO. Siamo, però, solo al primo passaggio, e nemmeno completo! Infatti, la Commissione Affari Costituzionali ha approvato il testo e degli emendamenti, ma ora attende (e se ne riparla a settembre) che le altre Commissioni si esprimano (devono dare un “parere”, ossia fornire indicazioni che la Commissione può accettare o meno). A quel punto, e solo a quel punto, si darà mandato al relatore di riferire in Aula. Ossia, si dirà ad uno degli aiuti cuochi “vai dallo chef e illustragli quello che abbiamo fatto”. Il relatore andrà in Assemblea e lì inizierà la discussione sulla proposta di legge. Dato che la Commissione Affari Costituzionali non ha ancora finito il lavoro, la proposta di legge non sarà discussa almeno sino ad ottobre. Se poi venisse approvata dovrebbe andare al Senato, e fare la stessa trafila di cui si è detto alla Camera. Se il Senato la dovesse modificare di nuovo, anche solo in una virgola, tornerebbe alla Camera, ancora con la stessa procedura di cui si è detto (solo più abbreviata perché si discuterebbero esclusivamente le modifiche del Senato). Appare quindi chiaro che una legge del genere arriverebbe in porto, forse, per la fine del 2012 (Maya permettendo!). Ci si sta quindi scaldando troppo per un argomento certo importante ma che non è nemmeno a metà del cammino!

Federico Smidile

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