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Marcello Sorgi, Il Grande Dandy. La vita spericolata dell’ultimo principe siciliano

08-06-2011

Marcello Sorgi, Il Grande Dandy. La vita spericolata dell’ultimo principe siciliano

Il giornalista della “Stampa” di Torino e scrittore di ottima penna Marcello Sorgi racconta in questo piccolo libroIl Grande Dandy“, la vita spericolata e disordinata dell’ultimo Gattopardo Siciliano. Raimondo Lanza di Trabia. I più giovani si domanderanno “chi era costui?”. Chi non era! Principe di sangue reale siciliano, sia pure riconosciuto come tale da adulto in quanto illegittimo. Erede di una delle più ricche, antiche, nobili, casate siciliane, una casata degna di quel Gattopardo, scritto da un lontano cugino di Raimondo, l’allora sconosciuto Tomasi di Lampedusa, viveur esagerato, amato dalle donne, sempre da lui contraccambiate con passione vera anche se incostante; amico per la pelle di sovrani coronati, quali lo Scià di Persia, e senza corona – Giovanni Agnelli, ancora non Avvocato.

 

Capace di innamorasi e di far innamorare la sorella di Giovanni, Susanna, donna coltissima, intelligente, che sarà Ministro degli Esteri (la prima donna ad occupare quella carica) e che mai dimenticherà quel folle giovane capace di adorarla, di perderla e di ritrovarla sempre e comunque. Ma Lanza di Trabia è anche uno sportivo: la Targa Florio di automobilismo, prestigiosa gara su strada, è da lui reinventata, oltre che gareggiata. Ed è  il primo “Presidente Mecenate” capace di spendere di tasca propria per dare lustro ad una società di calcio. Infatti, è lui ad inventare il sogno del Palermo calcio che per due anni insidia le grandi del Nord; ed è sempre lui, al mitico Hotel Gallia di Milano, che crea  il calciomercato, quel fenomeno di costume, oltre che immenso giro di affari, che ancor oggi appassiona anche chi di calcio si interessa poco o per nulla.

 

Raimondo vive sopra le righe, in una disperata fame di vita, che lo porta a stupire (riceve nudo nella sua stanza i Presidenti delle società di calcio che trattano con lui), a rischiare la pelle mille volte, a tradire tutti e ad essere perdonato da tutti, ad insultare lo stesso Vittorio Emanuele III in fuga dopo l’8 settembre del 1943. Un principe di sangue che, in una Sicilia ancora tanto condizionata dalle caste, si mischia con il popolo più povero, dando scandalo nella sua “classe”. Un uomo che vive la sua breve vita tutta a mille all’ora. E che decide quando è il momento di farla finita. Siamo nel 1953. Il mondo dei Gattopardi sta definitivamente finendo. E così le ricchezze di Raimondo. Gli amici mettono la testa a posto, occupano le caselle del potere cui erano destinati da sempre; lui no.

 

Ha moglie e figlie ma non rinuncia ad essere se stesso. E se il suo mondo finisce, se le sue ricchezze si dissolvono, se gli amici se ne sono andati, allora resta un’amica da non tradire: la vita. Che se va lasciata, deve essere con stile. Come un angelo Raimondo in una sera romana, apre la finestra del miglior albergo della Capitale e spicca il volo verso il mito. Muore giovane, come – si dice – chi è caro agli dei. Con lui muore un mondo, tragico e meraviglioso, ridicolo e commuovente, classista e, a suo modo, democratico. Muore un dandy, muore un vecchio frack, come canterà poco dopo Domenico Modugno, che dedicherà al Barone Lanza di Trabia la sua struggente canzone.

 

Federico Smidile

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