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Il libro di cui si parla oggi (Francesco Pinto, La strada dritta) è un vero romanzo di avventura. Ma molto più emozionante e coinvolgente dei soliti racconti del genere. Certo, non c’è la Tigre della Malesia, né il Corsaro Nero, ma ci sono uomini e donne veri, ed un Paese, l’Italia, con la schiena dritta come la grande strada che in otto anni unisce il Nord ed il Sud del Paese. Siamo nel 1955, la guerra è finita da dieci anni ma le conseguenze, fisiche e psicologiche, pesano tutte sul nostro Paese, sconfitto e poverissimo.
L’emigrazione è un fenomeno enorme, tanto che a Milano non è ammesso chi, venendo dal Sud Italia, non ha già un lavoro ed una casa, o qualcuno che garantisca per lui. Un Paese che cerca di crescere, ma che è diviso moralmente e fisicamente. E per sanare questa doppia ferita un uomo coraggioso ha un’idea folle: un’autostrada, la prima fatta per usi civili, che unisca Milano a Napoli, passando per Bologna, Firenze e Roma. Forse oggi sembra una cosa da nulla, ma allora si trattava di scavare montagne, mettere in piedi enormi cavalcavia, stendere 750 kilometri di asfalto, e farlo bene, presto, con pochi soldi e con nessun modello da seguire.
Una pazzia pura quella che il Presidente dell’IRI, l’erculeo Aldo Fascetti, toscano tutto d’un pezzo e uomo coraggioso, propone a Fedele Cova, un altro bel tipo, uno che ha girato il mondo, fatto mille attività, aperto mille imprese e che ora, aprile 1956, viene trascinato nell’impresa più pazzesca della storia recente: costruire, con un progetto vaghissimo, con pochissimi soldi, senza nemmeno una sede per la nuova società che dovrebbe gestire il tutto, la più grande autostrada d’Europa. Dopo qualche titubanza Cova accetta, e si butta a capofitto nell’impresa. Il neo Presidente della Società autostrade è un personaggio realmente esistito, come Fascetti. Di fantasia, ma assolutamente vero. è l’immigrato napoletano Gaetano De Angelis, che trova lavoro proprio nella società e riesce a fare un patto con Cova: tornerà a casa, costruendo con tantissimi altri l’Autostrada che da Milano lo conduce a Napoli.
E di fantasia, ma umanissimo e vero è Giovanni Nigro, ingegnere che nasconde un dolore senza rimedio, e che riscatterà con un atto coraggioso una vita non vissuta; di fantasia ma straordinarie sono le figure di Bruna, che cerca di salvare Nigro da se stesso, e di Maria, fidanzata di De Angelis, che non lo attende a casa, ma che lavora, lotta, non si arrende ad un destino che la vuole povera donna umiliata in un Paese umiliato. Vera e straordinaria la figura di Romita, Ministro dei Lavori Pubblici e coraggioso sostenitore, a dispetto di tutto e tutti, della folle impresa. Non è solo una strada che si vuole creare e che si crea. È un riscatto per tutto un Paese sconfitto ed umiliato. Un Paese che mostra la sua faccia migliore, che supera gli ostacoli fisici e politici, che cresce per creare un futuro migliore per sè e per chi verrà dopo. E che in otto anni, senza tangenti, senza costi aggiuntivi, con sofferenza, dolore, orgoglio, riesce nell’impresa a cui nessuno credeva. Gli americani, i signori della autostrade, sono stupefatti e vengono in Italia a studiare come si fa.
Tedeschi e francesi, una volta tanto d’accordo, non possono che dismettere la loro aria di superiorità ed ammette che, beh sì qualche cosa buona l’Italia la sa fare! Nel 1964, in anticipo sui tempi, l’Autostrada del Sole è in funzione. Cova ha compiuto la sua impresa, De Angelis è tornato a Napoli, il Paese si è rialzato. Mai dopo di allora si farà un’altra cosa simile, raccontata con parole sobriamente emozionanti da Pinto, che al termine di tutto si domanda dove è finita quell’Italia capace di cotanta impresa? Esiste ancora?
Federico Smidile
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