Psicologia

Morte: dinamiche e meccanismi di difesa psicologici – della Dott.ssa Cristina Colantuono

04-09-2011

Morte: dinamiche e meccanismi di difesa psicologici – della Dott.ssa Cristina Colantuono

La morte è un evento che tutti dobbiamo affrontare. Conosciamo meglio le dinamiche psicologiche legate a questo aspetto della vita.

 

LA MORTE, UNICA CERTEZZA DELLA VITA. “La morte è l’unica certezza della vita” oppure “La morte fa parte della vita, dobbiamo accettarla“…. queste e molte altre frasi fatte sono spesso sciorinate da chi per carattere o per anzianità è riuscito a scendere a patti ed accettare uno dei temi più dolorosi a cui l’uomo sia chiamato a rispondere.

In molti la affrontano con ironia: “Non è che io abbia paura della morte, solo che non vorrei esserci quando succederà” (Woody Allen), altri in modo più realistico “Quando si muore si ha ben altro che di pensare alla morte” (Italo Svevo) e il mondo del cinema ha detto la sua con decine di film sull’argomento: “Al di là dei sogni”, “The others”, “Il sesto senso”, “Ghost”, “My life”…

 

L’ASPETTO PSICOLOGICO. La Psicologia ha studiato questo aspetto tanto inevitabile quanto spaventoso della vita, rendendolo oggetto di discussioni, ricerche e studi per analizzare e descrivere le modalità con cui l’uomo se ne accosta, arriva ad accettarla o la nega fino all’ultimo.

Si può infatti negarla, pensando ad altro. Per esempio tra le norme della rivista più famosa in America si legge: “Su Playboy è proibito parlare di bambini, prigioni, disgrazie, vecchi, malattie e soprattutto di morte” ed in molti preferiscono infatti risolvere il problema pensando ad aspetti più pratici ed immediati come il lavoro, i viaggi, i divertimenti, gli hobby…

Un’altra modalità è diminuirne l’importanza con pensieri del tipo “l’uomo è mortale ma la specie è immortale” (Marx), “la morte non esiste, quando ci siamo noi non c’è lei, quando c’è lei non ci siamo noi” (Epicuro) o con il culto delle religioni che professano la vita dopo la morte.

C’è chi la sfida per sentirsi vivo: chi ama le corse a tutta velocità, chi cammina sulle rotaie, chi si droga, chi si autoconvince di essere più forte, chi la invoca perchè non ne sopporta nemmeno il pensiero.

 

REAZIONI UMANE. Ma perchè tante reazioni? Il mondo è bello perchè è vario e l’animo umano è infinito verrebbe da rispondere ma in realtà non sono risposte poi così infinite: l’uomo reagisce alla morte con modalità standard, uguali un po’ per tutti.

Elisabeth Kübler Ross ha dedicato la sua vita allo studio della psicotanatologia fino ad essere considerata la sua fondatrice ed ha elaborato una chiave di lettura delle modalità con cui si affronta la sofferenza psichica e fisica.

I suoi studi le hanno permesso di descrivere le dinamiche mentali che ognuno di noi vive davanti all’idea della morte, ad una diagnosi infausta o all’elaborazione di un lutto tanto da circoscriverle in cinque fasi specifiche.

Fasi che non necessariamente sono successive le une con le altre ma si possono alternare o presentare più volte senza un preciso ordine proprio perchè alla base hanno le emozioni e quindi un’assenza di regole particolari.

  • La prima fase è quella della negazione e del rifiuto: “c’è stato un errore“, “non è possibile“, “non è vero” sono le frasi tipiche di chi vive questa fase. La negazione è il meccanismo di difesa più frequente per reagire ad una situazione troppo dolorosa per essere affrontata subito, una modalità con cui ci si protegge e che permette di prendere tempo. E’ proprio il tempo che poi indebolisce questa difesa psicologica e permette il passaggio ad una fase successiva di consapevolezza.
  • La seconda fase è quella della rabbia: la risoluzione della negazione porta con se sentimenti forti come la rabbia e la paura. Stati d’animo che difficilmente riescono ad essere misurati e controllati e che investono in pieno qualsiasi elemento del mondo che ci circonda e che riteniamo in qualche modo colpevole come i familiari, i medici, Dio, il fato. “Perchè proprio a me?” è la domanda più frequente in questa fase delicata dell’elaborazione, un momento critico che può spingere a formulare una richiesta d’aiuto ma anche un atteggiamento di rifiuto, chiusura ed isolamento dal mondo esterno.
  • La terza fase è quella della contrattazione e del patteggiamento: non si può più negare l’evento, non si ha più l’energia per ribellarsi e allora si scende a patti col destino, si cerca di capire cosa si è in grado di fare per evitare il peggio, in cosa si può sperare… sia che si tratti dei medici “se prendo la medicina giusta…“, sia che si tratti di espiazioni varie “se guarisco farò il volontario in Africa per un anno” o di patti religiosi “Dio aiutami ed andrò in chiesa tutte le domeniche“. In questo momento la lucidità prevale, si riacquista il controllo della propria vita e si cerca una soluzione a tutti i costi.
  • La quarta fase è quella della depressione: dopo i tentativi delle fasi precedenti, il tono dell’umore si abbassa davanti all’inevitabilità dell’evento che si sta vivendo fino a provare un profondo senso di sconfitta. Si può reagire in due modi: o con una depressione reattiva o con una depressione preparatoria. La prima è una presa di coscienza lucida sulla propria condizione, la seconda permette di prepararsi alle possibili perdite.
  • L’ultima fase è quella dell’accettazione: il tempo è passato ed ha permesso di elaborare tutta la situazione ed ogni minimo dettaglio, accettazione e consapevolezza sono gli ingredienti base di questa fase. Sono sempre presenti sentimenti negativi come la rabbia e la depressione ma l’intensità è minore e si tende a chiudersi in sé stessi, a preferire il silenzio e la meditazione ma anche un contatto più profondo e sentito con i familiari e gli amici più stretti.

Sebbene il quadro sia perfettamente descritto da questa autrice, gli eventi della vita e le caratteristiche di ognuno di noi ci portano necessariamente a vivere la morte con molteplici stati d’animo a volte difficili da condividere.

Non si possono ridurre le reazioni dell’uomo ad un semplice schema tout court ma può essere un ottimo spunto per sviluppare un atteggiamento empatico verso chi si trova a vivere esperienze tanto sconvolgenti.

Dott.ssa Cristina Colantuono

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