Attualità e Cronaca Rosa

Roma – Manifestazione Indignados 15 ottobre 2011 – Vi racconto com’è andata – Reportage

16-10-2011

Roma – Manifestazione Indignados 15 ottobre 2011 – Vi racconto com’è andata – Reportage

Non è giornalisticamente corretto raccontare una notizia in prima persona. Però io ieri a Roma c’ero e voglio raccontarvi quello che ho vissuto.

 

LA PARTENZA – La manifestazione di ieri la sentivo dentro. Secondo me era (ed è, a prescindere dal tragico risvolto) un modo efficace per protestare contro le speculazioni, contro la schiacciante dittatura delle banche, contro un capitalismo senza valori che pone il dio denaro al di sopra delle persone, contro un governo che per tre anni ha negato la crisi e invece ci ritroviamo in bancarotta. E se non siamo ai livelli della Grecia è solo perché lo Stato italiano possiede una vasta risorsa aurea nelle casseforti blindate di Wall Street. Mi trovavo quindi davanti alla Stazione Termini, io e la mia amica Terry, in attesa di incontrare Francesca e Sara. Eravamo vicine al furgoncino di Rifondazione Comunista, ballavamo e cantavamo con loro. Dopo aver ricompattato il gruppetto di ‘indignate’ abbiamo deciso di aumentare il passo. Il corteo alle ore 15 era ancora bloccato in Piazza della Repubblica, ma noi volevamo raggiungere al più presto Piazza San Giovanni per urlare al mondo la nostra indignazione. Proseguendo nel tragitto, gli spezzoni del corteo sono i più disparati: precari della scuola, famiglie con bambini, giovani poco rassicuranti quasi del tutto vestiti di nero e che come “attrezzatura” avevano dei caschi per il motorino. Decidiamo di accodarci al corteo dei precari e degli studenti. Tutti giovani dai 14 ai 30 anni, con qualche eccezione over 30.

 

L’ATMOSFERA DIVENTA TESA – Verso le ore 16 ci ritroviamo a percorrere Via Cavour e lì ci accorgiamo che qualcosa non andava. Le vetrine delle banche erano rotte e c’erano alcune macchine incendiate. Non potevamo sapere che un’ora prima i black bloc erano già passati di lì, seminando panico e scompiglio, completamente indisturbati. Da quel momento in poi l’ingenuità e l’allegria del nostro gruppetto svaniscono. Nelle strade laterali di Via Cavour, blindati della polizia e della guardia di Finanza bloccano il passaggio. I militari sono in tenuta anti-sommossa. A me vengono i brividi. Decido di tenere gli occhi ben aperti. Alla minima stranezza, me la do a gambe levate. Cominciano ad arrivare le prime telefonate ai nostri cellulari: mamme, sorelle, amiche ci riferiscono che a San Giovanni ci sono scontri, che c’è una guerriglia in atto, che la polizia aveva investito un ragazzo uccidendolo (voce fortunatamente rivelatasi falsa). L’aria si fa pesante. Passeggiando lungo il Colosseo alle nostre spalle si leva una colonna di fumo. Non potevamo sapere che un blindato dei carabinieri era stato incendiato. Il corteo si ferma. Rimaniamo un quarto d’ora in attesa in Viale Aventino, cercando di capire cosa fare. Francesca e Sara vanno via. Rimaniamo io e Terry. Comincia a fare buio ma non c’è motivo per andarsene. Il nostro corteo è pacifico, nessun infiltrato e nessun segno di violenza.

 

IL CORTEO DEVIATO – In Piazza San Giovanni non si può andare. C’è la guerra. Il nostro corteo, dopo aver avuto l’approvazione della Polizia municipale, devia il percorso. Ci ritroviamo così a camminare lungo strade inaspettate: Viale Aventino, Viale Marco Polo, Via Acaia, Via Magna Grecia. E poi la Tangenziale Est, il quartiere universitario di San Lorenzo per poi finire in Piazza Aldo Moro, dove c’è l’Università “La Sapienza” di Roma. Ma andiamo con ordine. Scoppia una rissa in Viale Marco Polo a causa di alcuni ragazzi che facevano esplodere dei petardi. Noi non siamo violenti, non volevamo nemmeno i petardi. C’era il rischio che l’erba secca ai bordi della strada prendesse fuoco. Ci sono stati cinque minuti di tensione ma poi la situazione è migliorata. A volte guardavo indietro ed ero soddisfatta: migliaia di ragazzi fino a perdita d’occhio. Quello era  il corteo degli studenti, il corteo del Teatro Valle occupato e il corteo dello “Yes, we camp”. In via Acaia e Via Magna Grecia c’erano stati i black bloc. Le vetrine delle banche erano rotte, cassonetti rovesciati e dati alle fiamme, anche un motorino carbonizzato. Ma le persone affacciate alla finestra sapevano che noi non c’entravamo niente. Anziani, giovani e famiglie uscivano anche in vestaglia per applaudirci, per dirci di andare avanti. Una vecchina su di un balcone mandava baci a tutti. Avevamo i nostri fan. Arriviamo nelle vicinanze di San Giovanni ma non entriamo. Così avanziamo lungo la Tangenziale est. Un fiume di persone in marcia, al punto che ho avuto paura quando il cavalcavia ha cominciato a vibrare. Usciti dalla Tangenziale un grosso cartellone pubblicitario del Popolo della Libertà ci saluta. Dei ragazzi si arrampicano per strapparlo. Uno vuole dargli fuoco con un accendino. “No! No! Non farlo, spegni!”. La fiamma viene spenta. Noi non siamo i Black bloc, non incendiamo le cose. Nel quartiere di San Lorenzo i ragazzi cominciano a disperdersi. Sono le 21:00. Abbiamo camminato per 6 ore percorrendo 15 chilometri. Siamo stanchi ed affamati. L’ultima tappa è Piazza Aldo Moro. Io e Terry ci sediamo cinque minuti e poi ritorniamo a casa. A dei Vigili Urbani chiediamo se ci sono ancora disordini per la città. Ci rispondono di no. Bene. A casa.

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L’ALTRA FACCIA DELLA MANIFESTAZIONE – Una giornata di festa è stata rovinata dai soliti noti. Perché parlo di soliti noti, vi starete chiedendo. Beh, si sa che alle manifestazioni di questo tipo centinaia di black bloc arrivano proprio allo scopo di creare disordini. Ma perché la polizia non interviene? Agiscono pressoché indisturbati. La spiegazione è semplice e sono sicura che ci potete arrivare anche da soli senza che io mi becchi una querela. Il dispiegamento di forze dell’ordine era insufficiente per fare fronte ad un’emergenza di questo tipo. I violenti potevano e dovevano essere fermati prima. Il Governo dovrà rispondere di questa mancanza nella gestione dell’emergenza. Il problema è che si sono scagliati contro i semplici manifestanti. Racconta Azzurra, 27 anni, una ragazza che si trovava a san Giovanni: “Io ero col corteo pacifico. Ci hanno fatto stare sul prato proprio per dividerci dai Black bloc che erano vicino la chiesa. Sembrava che la situazione si fosse contenuta e così decidiamo di andare via, ma ci ritroviamo bloccati dalla polizia. Hanno cominciato ad usare gli idranti – prosegue – ed io non sono stata lavata perché mi sono messa sotto una macchina. Usavano gli idranti ad un metro di distanza, non si fa“. A parlare è Giuseppe, 24 anni: “Sono arrivato alla stazione della metro San Giovanni. io salivo le scale mentre decine di ragazzi le scendevano correndo. Arrivato in superficie mi sono ritrovato nel bel mezzo dei lacrimogeni. Non vedevo più niente e pensavo che il mio occhio fosse gonfio. Poi da lì non ho più capito niente, mi sono ritrovato a correre cercando di sfuggire alle cariche della polizia. C’era la guerra“. Anche le decisioni di chiudere le stazioni della Metro A Spagna e Barberini sembrano incomprensibili. Perché non chiudere invece proprio San Giovanni e Manzoni? Il bilancio è drammatico: 70 feriti e 12 arresti. I ragazzi portati in ospedale venivano seguiti dalla polizia ai quali chiedevano i documenti. I medici si sono ribellati: “Qui i ragazzi vengono per essere curati. Non siamo a conoscenza di reati quindi andate via”.

 

I MASS MEDIA – Come volevasi dimostrare, anche i mezzi d’informazione ci hanno messo del loro. Il Tg1 diretto da Minzolini (rinviato a giudizio con l’accusa di peculato) ha evitato dirette ed edizioni speciali della manifestazione. Black bloc? No, black out dell’informazione. Soltanto Rainews ha dato in diretta la manifestazione, rendendo conto sia dei vandali che venivano chiamati giustamente senza mezzi termini “teppisti e violenti” e sia dei manifestanti pacifici, i veri indignados che non avevano nulla a che fare con i black bloc. Il Pdl si è scagliato contro Rainews, affermando che l’emittente ha voluto dare una visione distorta dei fatti, minimizzando gli scontri e volendo dare a tutti i costi un’immagine di una manifestazione pacifica, che di pacifico non ha niente“. Mi permetto di dissentire totalmente da quest’affermazione che lede la libertà di stampa e la neutralità del giornalismo. Il compito del giornalismo non è quello di creare visioni distorte e faziose, ma quello di raccontare le cose così come stanno. Niente meglio di una diretta può dare una visione a tutto tondo di ciò che è successo. I siti d’informazione non danno conto del corteo pacifico al quale ho partecipato, siamo invisibili per loro. Molto meglio spostare l’attenzione sulla guerriglia, fa audience, lettori, click, pubblicità, soldi. Erano migliaia le manifestazioni in tutto il mondo. Solo in Italia sono successi disordini. Lo Stato è sconfitto. Questa è l’alba dei funerali di uno Stato.

Elisa Renna

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