Libri

Il nome giusto di Sergio Garufi – Vivere da fantasma

26-08-2011

Il nome giusto di Sergio Garufi – Vivere da fantasma

Federico Smidile oggi ci fa conoscere un altro bel libro: Il nome giusto di Sergio Garufi.

 

Spesso anche chi scrive si immagina fantasma che si aggira, invisibile ma sensibile, tra le proprie cose ed i propri ricordi. Non è uno spunto originale, quindi, quello di Garufi che nel suo piccolo libro racconta proprio questo. La voce narrante del romanzo, infatti, è proprio un fantasma, in realtà l’alter ego dello stesso Garufi, che partendo dal suo amore per i libri ci narra la sua vita e la sua morte, dopo aver compreso che non era vero quello che pensava: che se tutto andava male nella vita c’era sempre un piano B “mi ammazzo e la faccio finita”. A quanto pare no. A quanto pare non è detto che la morte sia tutto, anzi. Il protagonista continua ad aggirarsi nella zona di Roma dove si è tolto la vita (lo scopriremo alla fine ma è facile intuirlo), il quartiere Trionfale; in particolare si muove da una piccola libreria, gestita da un amico del narratore, che ha acquistato per pochi euro tutta la biblioteca lasciata dal nostro fantasma. E da lì questi si muove seguendo gli acquirenti dei suoi libri, parlando di loro, ma soprattutto di lui, del proprio fallimento generalizzato, del proprio sentirsi – narcisisticamente va detto – inadeguato, sconfitto, umiliato ed offeso. Il tono del racconto è malinconico, spesso irritante perché infarcito di “letterarismi” che complicano inutilmente il filo della narrazione.

 

Vediamo il nostro fantasma bambino, in sofferto rapporto con un padre autoritario, avvocato di successo, non alieno agli schiaffi non solo verso i figli ma anche verso una moglie che sembra vittima, ma che scopriremo più avanti lo è solo per un periodo e per sua scelta. Questo rapporto aspro con il padre, e morboso con la madre, sembra condizionare tutta la visione dei rapporti che il nostro fantasma senza nome ha, anche con le donne (incontra tutti i tipi più strani, e quella giusta la perde facendo il cretino con la migliore amica di questa), con gli amici (che non conserva), con i lavori (che non trova), con la scrittura (nella quale fallisce pur essendo dotato). Non può mancare la tragedia familiare ed il lancinante senso di colpa: il padre, così forte, autoritario, preopotente e di successo, non riesce a tenere nulla accanto a se e, dopo essere stato lasciato dalla moglie e anche dai figli, non sa fare altro che spararsi (l’unico “suicidio virile” accettabile per uno che si è sempre sentito Uomo con la U maiuscola e che ha capito invece di non esserlo nemmeno con la minuscola!). Morirà dopo mesi di agonia, più per gli altri che per lui, lasciando poco dolore, pochi valori e molti sensi di colpa e di sconfitta. Il nostro fantasma, in sostanza è un perdente di successo; un perdente che gode della sua sconfitta e che si sente completo proprio perché sconfitto e con un “grande futuro dietro le spalle”.

 

Il libro di Garufi non è esente da pecche: a volte chi legge si accorge che sta leggendo un libro; il bravo autore, invece, sa far dimenticare al lettore questo fatto: spesso il racconto è interrotto da una vocina che ci dice “guarda quanto sono bravo! Come costruisco bene il discorso”. È il narratore che ci ricorda che lui ha scritto e che lui sa scrivere. Cosa che apprezziamo di certo ma che ha lo stesso effetto irritante delle pubblicità che interrompono la visione di un film; quando si superano questi spot egocentrici di Garufi, però, ci si accorge che il libro è bello per la costruzione della storia, per la descrizione dei personaggi, soprattutto di quelli minori, e, soprattutto, per la capacità di Garufi di far vedere – forse anche a chi non conosce Roma – le vie stanche di una città, che sembra liquida, o vista da un acquario gigantesco, e comunque afflitta da una tristezza senza fine; quella tristezza che sembra perseguitare sia l’autore che il narratore fantasma in una storia senza redenzione e senza lieto fine.

Bella, in chiusura, l’idea di seguire le persone che comprano i suoi libri, e di scoprire cosa li ha portati all’acquisto e chi sono. Bella l’idea di cercare di capire le vite degli altri, magari per capire, sia pure post mortem, la propria vita.

Federico Smidile

Cosa ti piace?

cosa ne pensi?