Kenza Drider si candida alle prossime presidenziali francesi: la donna velata che vuole conquistare l’Eliseo
30-09-2011
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“La libertà in strada, patrimonio universale di libertà è sacro”. Questo è il motto di Kenza Drider, la giovane trentaduenne di origine marocchina, che indossa il niqab da 13 anni e ha deciso di candidarsi alle prossime elezioni presidenziali francesi. Il suo impegno politico è considerato una provocazione da alcuni, ma forse il vero problema sta nel fraintendimento, dovuto ad un sovraccarico di significati, della percezione del velo come simbolo della lotta islamica contro l’Occidente.
LA SFIDA. La questione del velo torna in primo piano sulla scena politica e sociale europea. A riportarla in auge è la candidatura alle elezioni presidenziali di Kenza Drider, battagliera attivista nella lotta contro la legge che in Francia vieta di indossare il velo in strada.
La giovane è stata l’unica donna in niqab ammessa alla Commissione Parlamentare sul velo nel 2009. L’affronto più grande è stato quello di aver presentato, lo scorso 22 settembre, la propria candidatura a Meaux, la città dell’ultraconservatore Jean François Copè, padre della discussa legge anti-velo.
Lo stesso giorno in cui Kenza iniziava la sua “sfida velata” al sistema francese, due donne, Hind Ahmas e Najate Nait, venivano condannate a pagare multe da 80 e 120 euro dopo essere state sorprese con il velo integrale in pubblico e arrestate proprio a Meaux, lo scorso 5 maggio.
Hind Ahmas ha fatto sapere che sottoporrà il suo caso alla Corte Europea per i diritti umani, esprimendo la ferrea volontà di opporsi a quella che ritiene un’ingiustizia: “Non possiamo accettare che le donne siano punite perché praticano apertamente le proprie convinzioni religiose”.
La Drider non è sola nella sua battaglia; ad appoggiarla c’è l’imprenditore Rashid Nekkaz, trentanovenne fondatore del movimento “Touche pas à ma Constitution”, che, però, alle elezioni del 2007 ha raccolto un insignificante 0,56% dei voti.
La giovane attivista ha l’ambizioso proposito di liberare le donne che indossano il velo dalla prigione della demonizzazione e della discriminazione sociale, dimostrando che la loro è una scelta di libertà, uno scatto di volontà.
Il velo non sarebbe, dunque, segno di sottomissione all’uomo, ma simbolo del libero arbitrio femminile e, pertanto, non lederebbe i diritti civili delle donne islamiche.
LA QUESTIONE DEL VELO. Ancora una volta il velo è diventato terreno di scontro tra occidentali e musulmani: i primi lo ritengono simbolo di inciviltà, arretratezza e decadimento, i secondi un vessillo di fiera opposizione ai modelli occidentali ritenuti deleteri e riprovevoli. Questi due poli estremi continuano da anni a tirare il velo da una parte e dell’altra, tentando di strapparlo via dal volto delle donne musulmane, o, al contrario, tentando di rimetterglielo.
La questione ha origini antiche e in parte avvolte nell’oscurità: infatti all’alba dell’Islam, il velo era un accessorio necessario solo per le mogli di Maometto, le quali non accettarono immediatamente di indossarlo. Aisha, la moglie prediletta del Profeta, cercò di battersi contro questa imposizione, incoraggiata dalle altre consorti, ma non ottenne la vittoria sperata. Probabilmente Maometto aveva ripreso l’uso del velo dalle donne cristiane, che però lo indossavano secondo una foggia diversa. Tra le sue intenzioni c’era quella di proteggere le sue mogli da sguardi indiscreti e, a tal proposito, aveva destinato loro anche una parte ben precisa della sua casa.
Probabilmente l’uso del velo si è poi esteso alle altre donne per imitazione delle mogli del Profeta, ma a tutt’oggi non è chiaro come questo passaggio sia avvenuto. Esistono alcuni versetti del Corano che accennano al velo, ma i termini usati sono contraddittori: per esempio il termine hijab viene usato con diversi significati, tra i quali: velo con cui la Vergine Maria si riparò da sguardi indiscreti (XIX, 17); barriera che separa, nel giorno del Giudizio, i beati dai dannati (VII, 46). L’espressione “darabat al-hijab” cioè “ella mise il velo”, a quanto pare significa ” ella sposò il Profeta” con riferimento al fatto accennato per cui solo le mogli di Maometto potevano indossare il velo (XXXIII, 59).
Nella storia il velo è diventato anche oggetto di dibattito all’interno del movimento femminista islamico: alcune donne rivendicavano il diritto a portarlo quale emblema della loro identità, altre lo consideravano segno di arretratezza culturale. Altre ancora sostenevano la possibilità di scelta consapevole.
Oggi la questione si è riproposta in Occidente, con le numerose ondate migratorie. Per molte musulmane immigrate il velo è una sorta di protezione da un mondo nuovo in cui si trovano a vivere, che, forse, in alcuni casi temono o che sono state abituate a considerare corrotto.
Di fatto in molti Paesi europei non è possibile per legge girare in strada con il volto coperto, secondo il principio per cui ogni individuo deve essere sempre riconoscibile. Tra l’altro nelle nazioni occidentali il velo non è tradizionalmente in uso e lo stesso vale per le donne cristiane che vivono in Paesi islamici.
IL PATTO TRA L’INDIVIDUO E LO STATO. A questo punto l’unico rimedio, probabilmente è riuscire a formare uomini e donne che si riconoscano prima di tutto come cittadini di una nazione, rispettandone le leggi qualunque sia la loro origine e poi come fedeli di una particolare religione, senza che le due identità, quella di fedele e quella di cittadino, entrino in conflitto. Bisognerebbe rendere consapevoli le persone sui motivi per cui certe leggi, come quella in causa, nascono; quali sono le loro finalità nell’ambito della sicurezza di ognuno. In questo modo nessuno si sentirebbe dilaniato tra due mondi e due culture, ma si sentirebbe parte di una società che progredisce anche grazie al suo apporto. Dovrebbe esistere una sorta di “tacito patto” tra l’individuo e lo Stato per cui è possibile professare il proprio credo e, per esempio, decidere di indossare o meno il velo, ma accettando il compromesso legislativo per cui non è possibile optare per il velo integrale per ragioni più alte, di sicurezza nazionale e incolumità individuale.
Sviluppare nel modo adeguato e senza imposizioni astratte il senso civico individuale è l’unico modo che abbiamo per formare nazioni coese non dominate da miopie ed estremismi politici e religiosi.
Francesca Rossi
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