Attualità e Cronaca Rosa

Arabia Saudita – Dieci frustate per aver guidato. Condannata una donna

28-09-2011

Arabia Saudita – Dieci frustate per aver guidato. Condannata una donna

L’Arabia Saudita, culla dell’Islam e agguerrita paladina della più rigida applicazione del diritto musulmano, nega ancora una volta i principi della libertà individuale, coprendoli con un pesante velo di violenza e oscurantismo che getta un’ombra sulla recente libertà di voto concessa alle donne.

LA CONDANNA. Il caso è semplice e improvviso come un pugno nello stomaco: un tribunale di Gedda ha condannato una donna saudita a 10 frustate per aver guidato un’automobile, pur avendo con sé una regolare patente ottenuta negli Stati Uniti. Il caso è avvenuto lo scorso luglio a Gedda e la donna in questione si chiamerebbe Shema. Altre due donne rischiano la stessa sorte per il medesimo “reato”.
Dal 1990 alle saudite è vietato guidare e Shema stava protestando proprio contro questo assurdo divieto insieme a tante altre che nei mesi scorsi sono scese in strada sfidando la monarchia e la repressione.
Women2Drive, un’associazione che lotta perché le donne possano guidare in Arabia Saudita, ha già fatto ricorso.

 

LIBERTÀ DI DECIDERE. L’Arabia Saudita ha fatto dimenticare immediatamente la recente apertura sul voto alle donne. Un caso come questo deve far riflettere tutti, uomini e donne, in Occidente come in Oriente. C’è una contraddizione di fondo, una dicotomia non sanata in una nazione che concede un diritto e ne toglie un altro, che con una mano dà e con l’altra toglie. E qui non si sta parlando di piccole scaramucce politiche, ma di diritti umani, di libertà di vivere, scegliere, decidere. Persino decidere di guidare un’auto.
In Arabia Saudita una donna non può uscire se non è accompagnata da un uomo, ovviamente suo parente, non può lavorare o lasciare il Paese senza esplicita autorizzazione di suo marito, o di suo padre in mancanza del coniuge.
Non dobbiamo e non possiamo sottovalutare la natura di questi divieti: può essere guidare, può essere sposarsi per amore o andare a lavorare, la questione non cambia. Una donna viene condannata alla fustigazione perché ha scelto in autonomia, senza padri, mariti o fratelli alle spalle; è uscita dal recinto costruito apposta per lei e lo ha fatto volontariamente, in un atto considerato di suprema ribellione in un mondo in cui comandano gli uomini e tutto è concepito a misura d’uomo, non certo di donna e tantomeno di essere umano.
La perplessità che proviamo naturalmente di fronte a casi del genere sta nel fatto che per gli uomini e le donne occidentali guidare è normale quanto lavorare o uscire con le amiche, insomma, quasi quanto respirare. Ma in molti Paesi i modelli culturali sono molto diversi e ciò che appare scontato per alcuni non lo è affatto per altri.

 

L’INVIOLABILITÀ DEL CORPO. Ciò non giustifica comunque la punizione corporale. È questa aggressione al corpo che più indigna l’opinione pubblica. L’insulto e l’umiliazione inflitta al fisico e alla mente. Noi consideriamo il corpo inviolabile, in special modo quello di una donna e continuiamo a credere in questo fermamente, nonostante le contraddizioni che la realtà, alle volte, ci mette di fronte. Di sicuro non accettiamo che sia la Legge, lo Stato ad infliggere tali pene e, se ciò accade, possiamo protestare con tutte le nostre forze.
Ci sono dei principi, dei valori che dovrebbero essere universali, che non possono essere piegati a logiche religiose e politiche oscurantiste o essere frutto di un sentimento di rivalsa e odio nei confronti dell’Occidente considerato corrotto, modello da non imitare pena la morte. Se non si risolve la dicotomia modernità e tradizione, sviluppando una coscienza individuale e il libero arbitrio, ci saranno ancora donne condannate alla frusta, o peggio. E avremo ancora, in Europa come negli USA nuove Hina Saleem.
Philip Luther, vicedirettore di Amnesty International per il Medio Oriente, ha sintetizzato perfettamente la situazione: “Permettere di prendere parte alle elezioni locali sarà anche una cosa buona e giusta, ma se le donne saudite vanno ancora incontro alle frustate per aver cercato di esercitare il loro diritto alla libertà di movimento, questo significa che le tanto reclamizzate riforme valgono veramente poco. In Arabia Saudita occorre smantellare un intero sistema di subordinazione delle donne agli uomini”.

 

UN FUTURO MIGLIORE. È avvilente doversi chiedere se la situazione cambierà mai, in che modo e in quanto tempo. Soprattutto, questi casi eclatanti e intollerabili oscurano le donne e gli uomini che nel mondo arabo islamico lottano e credono nei diritti umani e modellano le loro esistenze sugli ideali di libertà. Il movimento femminista musulmano, tanto per citare un esempio, ha una lunga e interessante storia alle spalle di individui che si sono fatti portavoce del vero Islam, non delle rigide interpretazioni fondamentaliste. Solo se daremo voce anche a loro e impareremo a collaborare potremo veramente dire di aver provato a cambiare il mondo per quelli che verranno dopo di noi.
Francesca Rossi

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